Le mamme “io valgo” hanno un concetto personalizzato dell’educazione dei propri figli: se interferiscono con le loro attività vanno rimproverati e tenuti a bada; in tutti gli altri casi, che facciano quello che vogliono.

Se i loro fastidiosi pargoli vogliono entrare nel recinto del giardino giapponese, gli aprono il cancelletto, si siedono sulla panchina, accendono il tablet e si disinteressano di tutto quello che accade intorno. Se il bambino li chiama o fa domande, lo ignorano oppure rispondono distrattamente.

Per attirare l’attenzione su di sé il bambino salta in mezzo al giardino, cerca di spostare le pietre, butta in aria manciate di brecciolino mescolando il chiaro e lo scuro (che poi ci vuole tanta, tanta pazienza per separare di nuovo tutti i singoli granelli), traccia solchi tra le pietre, strappa rami e foglie dagli alberi, scava buche qua e là, mangia caramelle sotterrando le carte sotto la ghiaia o lanciandole in aria dopo averle spezzettate, si mette a fare capriole sul prato gridando “Guardami, guardami”.

Se qualcuno le fa osservare che il comportamento del figlio deturpa il giardino e che sarebbe opportuno tenerlo a freno, lanciano un debole e stanco richiamo all’esuberante virgulto, che resta in genere totalmente inascoltato. Se le proteste continuano, si alzano, richiamano il figlio e si allontanano con aria scocciata, come se loro avessero subito un torto dal giardino e non viceversa.

 

Associo a questo post alcune foto di mini-giardini giapponesi realizzati in scatole per scarpe dagli alunni di una IV elementare perché dimostrano la sensibilità artistica e la fantasia dei i bambini che, purtroppo, a volte si perde crescendo.

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